Prenderli sul serio

Alla fine vorrei provare a prenderli sul serio e immaginare quello che potrebbe accadere subito dopo il voto, la notte dello spoglio.

Con la premessa indispensabile che i sondaggi, gli ultimi sondaggi, ci prendano.

E che quindi diano come risultato un Parlamento senza alcuna maggioranza politica ma con un partito, il Movimento 5 Stelle, abbondantemente primo.

A questo punto, a prenderli sul serio, l’onorevole Di Maio ha più volte ribadito che la sera delle elezioni farà “un appello pubblico alle altre forze politiche che sono entrate in Parlamento presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta”.

In quel preciso istante, nel momento esatto in cui pronuncerà quelle parole, si andrà a creare un conflitto istituzionale per cui il partito di maggioranza relativa si affida il compito di comporre una maggioranza parlamentare esautorando il Presidente della Repubblica dal compito che la Costituzione gli assegna.

Il Presidente della Repubblica, primo garante della Costituzione, a questo punto avrà due strade. Ratificare (sic!) l’incarico all’onorevole Di Maio oppure indire le consultazioni con i vari gruppi parlamentari e solo successivamente, sulla base dei riscontri ottenuti, affidare l’incarico per la costruzione di un nuovo governo: in questo caso l’esponente apparterrà ad un partito o movimento politico differente dai 5 Stelle o, al limite a nessun partito.

Scegliendo la prima strada il Presidente della Repubblica abdicherà nei fatti al suo ruolo: le conseguenze tiratele voi.

Percorrendo la seconda di strada il Movimento 5 Stelle indosserà il suo vestito preferito, quella di vittima del sistema, dei complotti e della casta. I giornali della borghesia illuminata gli continueranno, per timore di perdere le loro riconquistate rendite di posizione, a lisciare il pelo insistendo a non vedere il tratto eversivo connaturato al loro agire politico. La gente sarà chiamata a scendere in piazza. Gli animi si riscalderanno.

Questo a prenderli sul serio.

Continuando invece a dipingerli e descriverli come un pezzo della grande commedia popolare del nostro Paese andrà a finire molto peggio.

Primismo

Prima gli abitanti del pianeta Terra.

Prima prima però gli italiani.

Ma prima prima prima i pugliesi.

E prima prima prima prima i locorotondesi.

Benché prima prima prima prima prima debbano venire i locorotondesi del centro storico.

E soprattutto prima prima prima prima prima prima i locorotondesi del centro storico che risiedono in via Morelli 34.

Ritornare simpatici

È una battuta di Oscar Farinetti e forse la spia di qualcosa di più profondo che va parecchio dritto alla sostanza delle cose.

Abbiamo perso il referendum anche (ho scritto: anche) perché stiamo sui cabasisi ad un sacco di persone?

Secondo me sì.

È vero, siamo stati sulle palle da sempre ad un pezzo del nostro stesso partito e della sinistra. Ma era logico: dopo lustri di attesa era arrivato il loro turno sulla giostra e gli si è fatto saltare in aria il luna park. Non l’hanno presa bene e se la sono segnata.

Poi però qualcosa è cambiato e molto si è aggiunto.

Si è andati al governo, se ne sono infilate diverse buone (con le condizioni date) mentre su alcune si è cincischiato o si è andati con il freno a mano tirato.

A questo punto invece di dire sinceramente “ragazzi questo è il meglio che possiamo fare adesso magari ci date una mano e si riesce a fare di più” o anche, avendo più senso della realtà e pelo sullo stomaco “è vero noi avevamo promesso di farlo in un altro modo ma pensavate che X e Y venissero a dare la fiducia gratis?” ci siamo ritrovati rinchiusi in curva con la sciarpa dell’ultras attorno al collo a difendere cose anche non di molto buon senso (viste dall’esterno).

In pratica ci siamo incartati in una narrazione slegata, a tratti, dai fatti.

E ora? Come si ritorna simpatici o quantomeno “diversamente antipatici”?

Secondo me con tre mosse:

  1. Ammettere di aver perso e in questo, bisogna riconoscerlo, Renzi è il numero 1 in Italia: anche perché gioca da solo nella categoria. Gli altri, quando perdono o “non vincono”, fanno come Fonzie (video alla fine).
  2. Uscire dalla bolla, comprare un paio di scarpe comode ed andare ad incontrare le persone, soprattutto quelle che hanno votato no al netto degli hooligan (ci sono da una parte e dall’altra ma sono solo rumore sui social), ascoltare, ascoltare e ancora ascoltare, confrontarsi per capire cosa c’è in mezzo a quel mare lì.
  3. Noi siamo i buoni? Vediamo di dimostrarlo.

 

P.S.

Astenersi da commenti: anime belle e benaltristi

 

6 cose che impareremo, prima o poi

Comunque vada a finire, con un po’ di fortuna e di intelligenza da parte di tutti, quello che sta accadendo a Roma potrebbe essere utile e farci imparare qualcosa.

  1. Googlare non significa amministrare;
  2. Amministrare è diventare adulti, scendere dai tetti, smettere di urlare, sporcarsi le mani per cercare soluzioni possibili;
  3. Le idee sono buone o cattive solo se confrontate con la prova dei fatti: il resto è chiacchiericcio da limoncello post cena di fine estate;
  4. La guerra dello specchio riflesso (“tu puzzi”, “tu puzzavi da prima”, “ma tu puzzi puzzi”, “e tu allora puzzi puzzi puzzi”) allontana dalla politica le persone capaci lasciando tutto lo spazio ai professionisti del ring;
  5. L’informazione di garanzia è uno strumento che serve a tutelare la persona sottoposta ad indagini preliminari. Chi lo utilizza per scopi politici è un mentecatto;

6. La vita è, anche, quella cosa che accade quando siamo fuori dai social network.

 

Ieri non sono andato a votare

Ieri non sono andato a votare.

Me l’avessero detto due settimane fa avrei risposto che stavano scherzando.

Avevo letto il quesito, mi ero confrontato via whatsapp con il gruppo di amici storici, condiviso un amaro in un bicchiere di plastica con una persona che stimo e convinto sostenitore del sì, ripescato dalla memoria alcune esperienze lavorative del passato che mi avevano fatto incrociare il mondo delle risorse energetiche nel nostro Paese, analizzato le posizioni dei due comitati.

Pensavo quindi di andare al seggio. E votare no.

Poi tutto, ai miei occhi, è precipitato.

Non mi interessa, non è mio compito né ho le competenze per farlo, indicare di chi siano le responsabilità.

Ho solo assistito alla messa in scena della 198-sima puntata della guerra civile all’italiana.

Che sia un referendum, un campionato di calcio o la scelta di un tipo di caciocavallo le regole d’ingaggio non cambiano.

C’è chi tira una linea, segna il campo, mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, apre le curve, fa entrare gli ultras e in meno che non si dica tutto viene affogato in un indistinto rumore.

L’oggetto del contendere non conta più nulla.

L’importante è fare la voce più grossa, dimostrare quanto la si sappia più lunga di tutti, imbastire teoremi, retropensieri, insultare.

E io sono stanco.

Stanco e in profondo disagio.

Perché vorrei confrontarmi con chi la pensa in maniera diversa.

Capirne le ragioni  e le scelte che ne conseguono.

Magari le mie convinzioni resteranno intatte ma mi sarà passato tra le dita un pezzo di vita che non è la mia. E ai pezzi di vita si dà rispetto. Da qualunque parte provengano.

Ma questo non è stato possibile.

Non è più possibile.

Per cui ho preferito alzarmi e uscire dal campo.

E ho visto che non ero il solo.

 

P.S.

Non avrei voluto scrivere nulla. Poi mi hanno fatto leggere un post in cui si diceva che chi non è andato a votare poteva e doveva ritenersi un coglione. Non reputandomi tale mi è sembrato giusto scrivere due righe sul mio diario.

 

Dare il buon esempio: #cosedimanutenzioni

C’è l’ordinanza comunale che obbliga ogni anno i proprietari degli immobili del centro storico ad imbiancare le abitazioni a proprie spese indipendentemente dal reddito dichiarato (chiedere alla pensionata con la minima quanto le pesa una cosa del genere).

Adesso ci starebbe bene un’ordinanza che auto-imponesse ogni anno al Comune una adeguata manutenzione sia delle strade dal momento che sembra ci sia stata una pioggia di meteoriti (chiedere agli automobilisti) sia dei marciapiedi che non permettono di camminare in sicurezza (chiedere ad un genitore con passeggino o ad una persona anziana).

Chiaramente sempre a nostre spese visto che le tasse dovrebbero servire proprio a questo.

 

I tempi della politica e i tempi del resto del mondo

Nei primissimi giorni del gennaio 2013 la Regione Puglia indice un bando per rivitalizzare il sistema delle piccole e medie imprese del commercio. Vengono impegnati complessivamente oltre 12 milioni di euro che andranno a coprire come finanziamento a fondo perduto una parte (il 70% max) dell’investimento totale dell’impresa: le spese ammissibili sono tutte ben finalizzate al miglioramento  effettivo dell’attività dell’impresa.

Come Docks101  pensiamo che ne valga davvero la pena e ci mettiamo al lavoro.

Le domande che ciascuna impresa deve inviare per poter partecipare al Bando vanno trasmesse unicamente attraverso la piattaforma informatica appositamente predisposta ma con il criterio che, a parità di punteggio ottenuto, la data di invio farà la differenza.

Quindi sarà una gara al click più rapido.

Ci attrezziamo e la mattina del 4 marzo 2013 siamo dietro al pc per inviare tutto quanto. Ma non ci riusciamo. Anzi non ci riesce nessuno. Perché sono tantissime quelli dietro ai pc per inviare tutto quanto. Il sistema crasha e tutto viene rinviato prima al 13 e poi al 29 aprile. Ma neanche il 29 se ne fa nulla. Stavolta arrivano gli hacker e il bando viene annullato: non è uno scherzo, trovate tutto qui.

A questo punto eliminano la gara del click, ampliano i tempi per la consegna dei documenti e spostano i termini a fine settembre 2013.

Noi ci riprepariamo e spediamo sulla nuova piattaforma. Tutto va liscio e non ci resta che attendere.

Non possono aspettare però quelle voci che sono state inserite nella richiesta di finanziamento: perché non erano fittizie ma indispensabili ad ampliare la capacità produttiva del locale. A gennaio 2014 decidiamo di pianificarle entro  l’estate successiva. Si tratta di nuovi tavoli, sedie, nuove attrezzature per la conservazione degli alimenti, del sito web e tanto altro: stiamo parlando di un investimento che è circa l’8% del fatturato complessivo annuo. A giugno 2014 è tutto pronto e i fornitori vengono pagati. E noi aspettiamo fiduciosi che la Regione ci faccia sapere qualcosa

A novembre 2014 il competente assessore regionale ci comunica che il nostro progetto “è stato approvato e gli uffici del mio Assessorato hanno predisposto il provvedimento di concessione a suo nome del contributo” e ci chiede entro trenta giorni di inviare ulteriore documentazione: in questo caso si tratta fondamentalmente delle fatture pagate.

Pensiamo che sia fatta, che basterà dimostrare di aver già pagato tutto quanto per vedersi riconoscere quanto dovuto.

A dicembre inviamo sulla piattaforma le prime fatture con relative liberatoria dei fornitori.

A gennaio 2015, ad oltre due anni dalla pubblicazione del bando, ci chiedono di integrare la marca da bollo inviata nel 2013 perché sono cambiati i valori previsti per legge.

A febbraio inseriamo le ultime fatture e crediamo che sia fatta.

Ad aprile ci vengono chiesti alcuni chiarimenti, rispondiamo e alla fine del mese otteniamo l’ok finale: ce l’abbiamo fatta, la pratica è perfetta e adesso ci devono solo il contributo.

Ma purtroppo l’adesso della politica poco coincide con l’adesso del resto del mondo.

Perché prima i 6 mesi finali della Giunta Vendola che sembrava di essere a quelle feste quando si era adolescenti dove ad un certo punto le coppie si infrattavano negli angoli e lasciando da solo nel salone quello che indomito continuava a cambiare le cassette nel mangianastri. Poi i tempi per la proclamazione del nuovo Presidente poi bisogna nominare la Giunta e poi i componenti della Giunta devono capire dove si trovano e poi forse potranno anche decidere che bisognerà pur sbloccare i fondi da dare a quelle imprese a cui avevano promesso, quasi 3 anni prima, di sostenere nella loro attività di crescita e che hanno già pagato tutti i loro fornitori.

P.S.

In questo caso, lo sottolineano con la matita blu, la famosa burocrazia è stata di una gentilezza infinita. Li ho chiamati nei loro uffici, dal dirigente all’impiegato, un sacco di volte e credo che la stessa cosa hanno fatti tanti altri. Mai una parola scortese ma sempre precisi, cortesi e soprattutto sinceri. A loro la mia stima.

#cosedacandidatisindaci

Tra un anno si vota per le eleggere il nuovo sindaco di Locorotondo.

Nella miriade di progetti politici, incontri clandestini, autocandidature e caffè pagati non sarebbe neanche male tentare di arrivare preparati alla sfida con il Sindaco uscente.

Per cui mi sono permesso di riportare qui sotto una serie di dati reperibili facilissimamente su Open Civitas, il portale che permette di sapere quanto ogni comune spende per i suo servizi. Il portale consente così a tutti i cittadini di valutare le scelte di un’amministrazione: dove mette i soldi e a scapito di quale servizio.

E’ possibile anche verificare come si comportano comuni differenti su un singolo servizio: io ho confrontato il servizio Tributi del comune di Locorotondo con quello di Martina Franca e Cisternino. Così, per sport e non con un fine preciso.

Sarebbe bello che la prossima campagna elettorale comunale, che comincia la prossima settimana subito dopo la digestione delle Regionali, faccia un salto di qualità, abbandoni i discorsi con i numeri sparati a muzzo (ne ho un paio tirati fuori nei comizi del 2011 ancora tatuati sulla pelle) e si tenga sulle cose concrete, sui bisogni effettivi dei cittadini.

Che valgono un po’ di più del caffè offerto a prima mattina.

Tributi UTC Anagrafe Altri servizi Generali polizia Locale Istruzione Viabilità Territorio Rifiuti Sociale Asili nido Confronto

 

 

 

Il menù, il cuoco e la legge elettorale

Gestisco un locale assieme ad alcuni amici.

Abbiamo tanta attenzione verso i clienti, che per fortuna sono tanti.

E a loro chiediamo anche di esprimere consigli su quello che offriamo.

Ascoltiamo i loro pareri con tutti gli strumenti di cui possiamo disporre: dal confronto diretto quando vengono a trovarci, allo scambio di mail, ai messaggi sui social.

Poi ogni 3 mesi abbiamo la necessità di modificare il menù.

E al nostro cuoco esponiamo sia le nostre idee che quelle che ci sono state trasmesse dai clienti.

Poi però al cuoco tocca decidere. Anche in base a quello che si può realisticamente cucinare in un locale come il nostro.

Quindi stila la lista dei piatti da inserire, di quelli da confermare e da variare e andiamo in stampa.

I clienti quando leggono il nuovo menù scoprono che alcune cose sono state recepite ed altre no.

Accade che alcuni ci restano un po’ male. Noi proviamo a spiegare che non era possibile inserire proprio tutto ma loro, quelli che ci sono restati un po’ male, ci dicono perché allora questa cosa l’avete messa e quella che dicevo io no.

A questo punto a me viene sempre da rispondere in una maniera abbastanza codarda, lo ammetto.

Scarico la responsabilità sul cuoco, dico che è lui che alla fine decide tutto, che io non ci posso fare nulla ma che mi fido delle cose che fa e sceglie e che se le tutto va bene, se anche loro con cui sto adesso parlando e che sono un po’ delusi del nuovo menù perché non hanno trovato i piatti che ci avevano suggerito sono tornati a trovarci, allora significa che tutto sommato hanno compreso che una decisione andava pur presa, che qualcosa necessariamente doveva rimanere fuori e che il menù doveva andare in stampa altrimenti tutti i clienti, sia loro che avevano dato quei suggerimenti che non avevamo accolto che quelli le cui idee erano state fatte nostre ma soprattutto quelli, la maggioranza assoluta, che non ci avevano mai espresso alcuna opinione alla fine si sarebbero stancati di leggere sempre lo stesso elenco di pietanze e ci avrebbero abbandonati, sarebbero andati tutti quanti a cena da qualche altra parte e avrebbero raccontato ai gestori degli altri locali che prima venivano da noi ma che avevano cambiato perché il menù era sempre lo stesso e che loro avevano provato a dare delle dritte, lo avrebbero detto anche quelli che di consigli non ne avevano mai dati, ma che il cuoco non riusciva mai a prendere una decisione.

Ecco, io la storia della legge elettorale la vedo un po’ così.

 

Note greche a margine

1. Affluenza 63,9%.

2. Syriza con il 36,3% dei voti prende il 49,6% dei seggi.

3. Syriza per poter governare sigla un accordo di governo con Anel, formazione politica nata nel 2012 da una scissione dei conservatori di Neo Dimokratia.

I tre punti sono, a spanne, anche 3 dei nodi politici su cui più si è dibattuto negli ultimi mesi dalle nostre parti: scarsa affluenza ai seggi, impostazione maggioritaria di una legge elettorale, capacità politica di trovare un accordo con altre forze non avendo da soli i voti per governare.

Chiaramente qui in Italì ne abbiamo parlato in chiave di delitto della democrazia e catastrofe imminente.

In Grecia invece andiamo a fare i trenini #aeiouy