Pallastrada

Quando tre anni fa siamo stati chiusi in casa la testa ha preso ad inseguire i giorni in cui in casa non ci stavamo mai.
Perché continuamente per strada.
A giocare a calcio. O a qualcosa che gli assomigliasse: mischie furibonde in spazi che ci sembravano allora immensi, ora, ripassandoci, piccolissimi.
E così ho iniziato a catalogare alcuni luoghi dove giocavamo a pallone.

Era un altro sport.

Pallastrada, i campi del mio paese.


Denominazione campo: dietro al cinema
Caratteristiche:
Pendenza longitudinale: 5%
Pendenza trasversale: 3%
Elevata probabilità che il pallone fosse oggetto di taglio con accetta da parte di irreprensibile signore temuto da tutti e che abitava alla fine della discesa (ancora oggi ho paura a passarci)

Denominazione campo: da Peppazio
Caratteristiche:
Pendenza longitudinale: 3%
Possibili auto parcheggiate da dribblare o dietro cui nascondersi per eludere marcatura avversaria.
Porta ad est (contrassegnata con tre linee) confinante con quella che, in quegli anni ruggenti, era il giardino della caserma dei Carabinieri (la strada era cieca e non aperta su via Martina, come oggi). Questo comportava missioni suicide ogni qualvolta il pallone veniva sparato a minchia in quel giardino.

Denominazione: da Zichinetto
Caratteristiche:
Terreno di gioco in pietra locale (chianca) di ampiezza 9 metri per 5 con densità di giocatori pari al lungomare nella sera dei fuochi di San Rocco.
Presenza laterale di una bottega di calzolaio dal cui soprannome discende il nome del campo e di una parrucchiera (Franca) le cui ante in vetro più volte furono frantumate.
Presenza di balcone con fili per panni su cui andava sistematicamente ad impigliarsi la sfera, cosa che sottoponeva i giocatori a trovare il più lungo tra tutti al fine di issarlo alla stregua di un pennacchio per cercare di riprendersi il pallone.

Denominazione: da Anna della cantina
Caratteristiche:
Lingua di chianche di metri 10 x 3 senza via d’uscita: in pratica un padel prima ancora del padel.
Trerruote di Donato (marito di Anna, vedi sotto) perennemente parcheggiato nel campo e dal cui cassone si battevano i falli laterali che qualcuno, estemporaneamente e con grande genio visto che la palla non poteva mai uscire, chiamava tanto per darsi un tono.
La porta ovest (tre linee) coincideva con la porta est del campo di Zichinetto e quindi, in caso di contemporaneità di partite, si potevano osservare giocatori che cambiavano campo, palloni che si inserivano non si capisce da dove, Franca la parrucchiera che usciva urlando poiché il suo negozio
era proprio lì, sulla striscia di Gaza, dove un campo si fondeva nell’altro.
Accanto alla porta est l’ingresso della cantina di Anna (in giallo), luogo ameno dove ci stipavamo in 25 (grazie a Franco, suo figlio) la domenica alle 18.20 per guardare Paolo Valenti e 90° minuto.
È stato il mio campo di pallastrada preferito.

Denominazione: da Attilio
Caratteristiche:
Campo con doppia via di fuga (in giallo) su uno dei due lati di ciascuna porta: in questo modo si potevano battere fantasiosi calci d’angolo.
Presenza laterale del negozio di elettrodomestici di Lino Campanella (in celeste): qui si andavano ad ascoltare i dischi nel post partita.
Una delle due porte (in verde) coincideva esattamente con l’ingresso dell’edicola di Attilio motivo per cui andavano dribblati anche i clienti in entrata/uscita. Ma soprattutto e su tutto si ergeva, metafisica, la presenza della moglie di Attilio: seduta lateralmente alla porta d’ingresso dell’edicola, proprio sotto Cronaca Vera, su uno sgabello reso invisibile dalla sua monumentale stazza. Fu oggetto di molte spallommate: termine tecnico che indica un tiro di inaudita violenza scoccato da distanza ragguardevole.

Denominazione: alla Rutedda
Caratteristiche:
Nome dal taglio esterofilo. Alla Rutedda era per me qualcosa di simile al francese à la mode. Inoltre, per
semplice assonanza, mi faceva tanto lo stadio dell’Aston Villa visto una notte di mercoledì in un secondo tempo di una partita di Coppa dei Campioni.
Terreno da gioco rettangolare 15 meri per 7, in cementine, senza pendenza alcuna, ottima illuminazione notturna. Per tutto questo alla Rutedda non si andava a giocare come veniva, buttando le squadre a tocco chi c’era c’era. Alla Rutedda si andava previo appuntamento, con le squadre bell’e formate e cricca di sostenitori al seguito che si piazzavano nella parte alta della piazza accanto alla fontana da cui partivano, nelle sere estive, rinfrescanti gavettoni.
Notevoli le risse che si svolgevano: famosa quella in cui un amico, per vendicarsi d’essere stato deriso dagli avversari per l’intero incontro a causa della sua bassa statura, sferrò un calcio potentissimo, armato di sola Pescura Dr Scholl’s, alla tibia di un avversario fratturandosi, lui, l’alluce e passando l’intera estate
con gesso alto fino al ginocchio.
Unico neo: la quota del terreno di gioco sovrastava di un metro e mezzo quella del marciapiede che gli correva lateralmente (in verde) ragione per cui diverse spallommate  potevano cogliere (e coglievano!) in pieno volto incolpevoli passanti.

Denominazione: Largo Fiera
Caratteristiche:
Pendenza trasversale 5%
Pendenza longitudinale 2%
Illuminazione perfetta su lato strada e nulla su quello opposto.
Contornato da alberi di cui nessuno sapeva nome, avvizziti dalla notte dei tempi ma utilissimi per segnare le porte e le linee laterali.
Terreno di gioco composto da un materiale che non si capiva cosa fosse.
Non era asfalto, non era cemento.
Sembravano piccole pietre appuntite messe assieme con il vinavil.
Durissimo e rugoso.
Se ci cadevi era antitetanica sicura. Di sera brillava luccicoso, bellissimo e romantico, a causa di infiniti frammenti di vetro che erano il risultato di bottiglie frantumate durante lo svolgimento del mercato settimanale del venerdì.
Era per noi San Siro.
Ed anche l’estrema periferia. Accanto ci sorgeva (e c’è ancora) la scuola media.
Quella cosa di Venditti, della canzone che fa “davanti alla scuola, tanta gente, Otto e venti prima campana” per me è Aldo, il mio compagno di scuola col piede più educato che io abbia mai visto su quel campo, che calcia una punizione (alla Platini avremmo detto l’anno dopo), segna, mi fa l’occhiolino, piglia i due libri fasciati nella cinghia e viene verso di me.

Denominazione: giù al palo
Caratteristiche:
Campo di forma quadrata con terreno da gioco in asfalto e palo altissimo della pubblica illuminazione
piazzato al centro (in giallo).
Da qui un pezzo del suo nome a cui si aggiungeva l’avverbio “giù” quando a pronunciarlo erano giocatori che solitamente accarezzavano il pallone nel centro storico: questi ultimi erano quelli di adàlt.
Ci si andava in gruppo e io mi sentivo come Nemecsek che seguiva il suo Boka.
Non ci ho giocato molto. E se andavo mi ci portava Aldo che faceva il giro dei campi da mattina a sera perché era bravo e lo facevano giocare tutti.
Per me era abbastanza diversa la cosa: non dico che dovevo portarmi il pallone ma più o meno stavamo in quella zona li.

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